diario di bordo

La partenza del figliol prodigo

Giovedì 5 Gennaio ’17. Stamani ho aperto gli occhi ancor prima che suonasse la sveglia alla solita ora antelucana, tanto mi angosciava l’idea di dover smobilitare tutte le decorazioni natalizie. So che ci sarebbe da aspettare ancora la befana, ma domani partiremo per il lago e rientreremo domenica e non c’è nulla che mi metta più tristezza delle decorazioni di Natale a feste finite. Inoltre, caratterialmente, sono sempre stata il tipo “via il dente, via il dolore”, quindi, dovendo farmi la sfacchinata, prima è meglio è. Ho iniziato a lavorare alle 6.30 (dopo il solito allenamento: inimmaginabile poterlo saltare dopo i pranzi e le cene delle ultime settimane) e mi sono seduta per un caffè alle 10.30: tutto fatto, nessuna traccia del periodo festivo, scatoloni ordinatamente riposti nel sottoscala, a prendere polvere per i prossimi 11 mesi.

La mia soddisfazione però non era destinata a durare a lungo: è squillato il cellulare.

Mamma: “Tesoro, oggi pomeriggio alle 17.00 tuo fratello riparte per Singapore da Malpensa, così io ho proposto di venirti a prendere. Andiamo tutti insieme in aeroporto, pranziamo lì e lo salutiamo”.

La colonnina del mio umore è immediatamente scesa in picchiata: voglio un mondo di bene a mio fratello, ma non apprezzo particolarmente la sua compagnia (sarà per quel suo modo di spiegarmi, da single e senza figli, come andrebbe cresciuta Elisa? Sarà per quel ribadirmi costantemente quanto è costata la mia istruzione universitaria mai adeguatamente messa a frutto? Sarà perché i libri, i film, la musica che mi piacciono sono sempre delle cretinate? Non so, forse). Ad ogni modo, non potevo certo dire no a mia madre, né negare a mio fratello un saluto sapendo che non rientrerà in Italia prima del prossimo Natale, così ho mestamente accettato.

Io: “Va bene mamma. A che ora mi passate a prendere?”

Mamma: “Stiamo già uscendo di casa”

Io, in tuta, ciabatte e piena di polvere dalla testa ai piedi:”Ma mamma, ha il volo alle 17.00 e sono solo le 10.45! Se partite ora da Monza, con il traffico limitato di questi giorni di festa, saremo a Malpensa alle 13.00!”

Mamma: “Gioia mia, sai come è fatto papà: non gli piace avere l’acqua alla gola”

Inutile insistere: se la decisione è di papà non c’è Santo che tenga. L’adorabile vecchietto è convinto di essere una divinità con il dono dell’infallibilità. Rassegnata, corro a prepararmi e quando i miei citofonano, alle 11.30, partiamo tutti alla volta di Malpensa.

Da casa mia al terminal non ci vuole più di mezz’ora, ma il viaggio è interminabile. Papà non apre bocca: in quanto divinità parla pochissimo, perché quando parla emette il Verbo che va, giustamente, centellinato ai comuni mortali. Mamma è un fiume in piena di raccomandazioni per il suo bambino (che ricordo avere 38 anni e vivere da solo, all’estero, da quando ne aveva 22), Stefano  ha il consueto broncio (è convinto che lo renda sexy) e accompagna lo sproloquio con grugniti di vario genere ed intensità (io però sono convinta che non ascolti una sola parola).

Piazzata la macchina in uno dei silos ci avviamo al terminal. La primissima operazione è far impachettare dagli addetti (sotto l’occhio vigile di mamma che sovraintende le operazioni non senza elargire fondamentali suggerimenti) la delicatissima valigia di mio fratello, una meraviglia di tecnologia, pagata uno sproposito (per quanto ne so potrebbe anche essere in fibra di carbonio). Dopo di che ci avviamo al tabellone delle partenze per individuare il banco da cui spedire il bagaglio (il check in è stato fatto on line ieri sera). Tutti e quattro scrutiamo con attenzione ma del volo per Singapore non c’è alcuna traccia. Ci guardiamo perplessi: come è possibile? Chiedo a Stefano di controllare fra le mail se non ci siano comunicazioni di problemi o gravi ritardi da parte della compagni aerea (parte con Singapore Airlines, mica con Ryanair), ma non  gli risulta nulla. Mentre smanetta sull’i-phone però lo vedo sbiancare. Solleva il volto dal monitor ed è bianco come un cadavere (cosa davvero difficile per uno con la sua carnagione: da bambino, dopo un mese di mare, spesso lo prendevano per uno di colore). Ha la bocca aperta ma non ne esce alcun suono. Un terribile sospetto si fa strada nella mia mente.

Io: “Ste, hai sbagliato orario?”

Scuote il capo.

Io: “Hai sbagliato giorno?”

Altro scuotimento.

Io: “Hai sbagliato terminal, invece che a Malpensa 1 dobbiamo andare al 2?”

Ancora una negazione non verbale ma decisamente meno pronunciata delle precedenti …

Io: “Stefano, devi partire da Linate (cioè, per chi non fosse pratico di Milano, 70 Km circa di distanza)?”

Cenno affermativo.

Papà non fiata, semplicemente inizia a tirarsi i capelli, letteralmente (tale padre tale figlio, vedere la disavventura del viaggio di Stefano da Singapore a Milano prima delle feste). Mamma ci mette qualche secondo a realizzare, poi lo fissa basita. Io trattengo a stento una risata: c’era da immaginarselo che ne avrebbe combinata una delle sue.

A quel punto prendo in mano la situazione.

Io: “Ok, siamo partiti con tanto anticipo che non dovrebbe essere un problema. Lasciatemi qui, chiamerò Luca che mi venga a prendere (per dove abito io non mi conviene andare con loro), e voi volate a Linate”

Tutti mi guardano immobili.

Io: “Forza gente! Datevi una mossa”

Finalmente riacquistano presenza di spirito e corrono verso le uscite.

Una volta spariti alla mia vista, la risata trattenuta, mi esce cristallina. Sono consapevole che la gente mi guarda come se fossi pazza ma davvero non posso farci niente. Recuperato un minimo di auto controllo, prendo il cellulare e seleziono il tasto di chiamata rapida per mio marito.

Io: “Amore, tu non hai idea di dove sono adesso …”

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